Partiamo da un assunto: la motivazione è il “movente” del comportamento, la causa che scatena una reazione, porta a una scelta. La spinta a compiere un’azione per raggiungere un determinato obiettivo. Un comportamento può derivare da motivazioni inconsce, anche dette sovradeterminate: non è possibile, in alcun modo, isolare un singolo elemento (rispetto al quadro generale) seguendo un continuum di causa-effetto. Le motivazioni, al tempo stesso, sono altra cosa rispetto agli istinti: tendenze comportamentali cioè specie-specifiche, come l’imprinting delle oche selvatiche, celebre oggetto di studio di Lorenz, che seguivano il primo oggetto in movimento. Distinguiamo, ancora, tra: motivazione e bisogno, un’alterazione, una deviazione, dall’equilibrio omeostatico dell’organismo; e pulsione: la ovvero la dimensione psicologica, di un bisogno di natura fisiologica.

Le motivazioni possono essere, anzitutto, “primarie” e “secondarie”: le motivazioni primarie sono riconducibili al soddisfacimento di bisogni fisiologici fondamentali, primari; le motivazioni secondarie sono invece culturalmente apprese, e frutto dell’influenza sociale. Ancora: le motivazioni sono “intrinseche” ed “estrinseche”. Viene da sé che un’attività, qualsiasi, possa essere intrinsecamente motivata, si autoalimenti, o estrinsecamente motivata: volta all’ottenimento di qualcosa di altro, o (per esempio) finalizzata all’evitamento di una punizione. Un autore, in particolare, che ha formulato una sua teoria a riguardo è McClelland, il quale ha proposto la nota “Teoria dei Bisogni”: secondo lo psicologo statunitense le dinamiche motivazionali sono innescate dalla necessità, da parte dell’individuo, di mantenere un rapporto, ottimale, con l’ambiente. E proprio i comportamenti che dall’ambiente vengono rinforzati, premiati tenderanno a ripetersi più spesso rispetto agli altri: perché la persona ne prevede sia l’esito che la gratificazione che da essi deriva. McClelland ha isolato tre “aree motivazionali” importanti: l’affiliazione, il successo e il potere. L’affiliazione è la ricerca e il mantenimento, costante, di relazioni di amicizia, di intimità; il bisogno di successo coincide invece con la rincorsa della fama, dell’affermazione, la tensione verso la perfezione: va formandosi già nei primi anni di vita, a contatto con le figure di accudimento. Il potere, infine, è l’aspirazione ad occupare posizioni di comando, avere il controllo su cose o persone, possedere oggetti che rimandino ad una posizione sociale superiore e può celare insicurezza, disagio, mancanza di un’identità solida.

Da citare anche la teoria de La Piramide dei Bisogni di Maslow: esponente, lui, della psicologia umanistica. Maslow ideò un modello gerarchico delle motivazioni: una piramide, appunto. I bisogni al vertice della stessa compaiono solo e soltanto dopo la soddisfazione di quelli sottostanti: soddisfatti questi, ecco che appaiono quelli cosiddetti “superiori” (sicurezza, protezione, stabilità). Ancora sopra, troviamo i bisogni “di appartenenza”, come quello di stabilire relazioni intime. Dopo, troviamo quelli “di stima”: connessi all’essere rispettati, apprezzati, ritenuti competenti. In cima, per ultimi, quelli “di autorealizzazione“: la creazione ovvero di una propria identità. Per Maslow, quelli alla base della sua piramide, sono bisogni anche detti “di carenza”: scaturiscono, cioè, da una situazione di necessità. Quelli che incontriamo via via salendo sono invece bisogni “di crescità”: relativi al miglioramento, psicologico e sociale, di ognuno di noi.